Sullo schermo appare il logo dello Studio Ghibli, e l’applauso esplode prima ancora che Il ragazzo e l’airone inizi. Succede alla prima proiezione del mattino dell’ultimo film di Hayao Miyazaki, scelto quest’anno come film d’apertura dell’edizione 2023 del festival del cinema di San Sebastián. Promosso come l’addio al cinema del regista e produttore giapponese, già Oscar per La città incantata prima di vincere la statuetta alla carriera nel 2015, il film arriva al festival spagnolo in prima europea. E i fan sono accorsi in massa. Alcuni con la speranza che di un vero addio non si tratti: Miyazaki, infatti, aveva già presentato dieci anni fa Si alza il vento come il suo canto del cigno. Se ci ha ripensato una volta può ripensarci una seconda, bisbigliavano alcuni in sala.
Il ragazzo e l’airone è un passo avanti per lo Studio Ghibli rispetto a Si alza il vento. Nell’incipit echeggiano di nuovo i toni plumbei della guerra, che fanno pensare a un film simile: nel 1943 Mahito ha dodici anni, sua madre muore in un incendio e due anni dopo suo padre, un produttore di munizioni aeree, sposa in seconde nozze la sorella di sua moglie, Natsuko. Quando fuggono da Tokyo per trovare riparo in campagna, Mahito non ha ancora elaborato il lutto.
L’airone che plana sempre più vicino al ragazzo non prelude a un’amicizia poetica: sarà la chiave di volta per entrare in un universo (parallelo?) in cui le logiche umane lasciano il tempo che trovano.
Tornano molti dei temi cari a Miyazaki. Le figure femminili sono forti e hanno ruoli intrisi di tensione emotiva e simbolica. Non manca l’amore per l’ambiente e la necessità di tutelarlo, così come lo spirito pacifista di fronte allo scempio della guerra.
Lo Studio Ghibli scioglie, con Il ragazzo e l’airone, un realismo nostalgico sul più classico degli stili fantasy made in Japan adorato dai fan del genere. Strizzando, come secondi molti era inevitabile, l’occhio alla Città incantata (forse il vero capolavoro dello studio) e al Castello errante di Howl.
L’affabulazione visiva, qua e là, deborda e prevarica sul plot: i cultori di Miyazaki apprezzeranno sicuramente, chi lo conosce meno può uscirne spaesato. Il ragazzo e l’airone non ha la bellezza cinefila della Città incantata, infatti. Ma, in qualche modo, riesce a esplorare una strada narrativa inedita che porta in dote anche una forma di originalità, e una volontà di allontanarsi dai suoi precedenti blasonati.
L’eccesso di ingordigia con cui l’airone inghiotte un pesce è preludio all’eccesso di visione che il cartoon consegna allo spettatore. Nel volatile vive (letteralmente) uno spirito antropomorfo: spunta dal becco come un folletto malefico per instaurare un rapporto di amore e odio con il giovane protagonista. Nel loro primo incontro ci sono addirittura vaghi omaggi all’horror: niente sangue, ma un’invasione di pesci e rane poco rassicuranti. E non mancano le citazioni dotte, fra cui una a Dante che probabilmente solo il pubblico italiano potrà cogliere: l’ingresso alla torre attraverso cui Mahito inizia il suo viaggio è sovrastato da un arco che riporta l’incisione “Fecemi la divina potestate”.
Forse anche per questo, nella seconda parte del film, si ha la sensazione che il virtuosismo visivo sia molto più importante del racconto. Non mancherà chi, a metà strada, si chiederà che a che genere Il ragazzo e l’airone appartenga.
Il film, così, deve essere gustato in modo più istintivo e meno razionale di quanto facciano alcuni cultori di Hayao Miyazaki. I colori della fotografia di Atsushi Okui, del resto, abbagliano, e molte sequenze – dall’incendio alla navigazione su un mare che può far pensare ai dipinti di William Turner – sono quasi spettacolari.
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